L’Etna e il suo territorio sono i luoghi del mito classico. Ma le terre etnee, ricche di arte e di antichissime culture e tradizioni, sono anche i luoghi del mito cinematografico. Gli scogli di Trezza sotto un cielo in tempesta; il castello di Aci, scenario di riti arcaici; lo splendore della pietra barocca delle chiese di via Crociferi, che rende più funeree le vestizioni monacali; gli scorci dei palazzi di via Alessi, che nascondono inconfessabili segreti; le atmosfere notturne del settecentesco recinto marmoreo di piazza Duomo che accendono i sensi ai personaggi brancatiani; gli insani desideri che agitano la provincia acese; i paesini pedemontani color grigio lava e le case padronali sparse per la campagna, ricettacoli di amori più o meno illeciti; le lande deserte e lunari del vulcano, luoghi della preistoria come del dopostoria. Tutto questo catalogo di celluloide contraddistingue la parte più cospicua del cinema siciliano,di quella cinematografia che a prescindere dal talento dei cineasti e dal valore dei film, ha raccontato i vizi e le virtù delle genti isolane e ha costituito un “corpus di opere” contrapponibile al “genere mafioso”.
La cinematografia nazionale e quella straniera hanno avuto fin dalle origini due frequentazioni con il nostro Vulcano utilizzandolo e descrivendolo nelle sue più svariate accezioni. Così, nel corso di questo secolo, anche il cinema di fiction, ha mostrato il magnifico scenario dell’Etna, adattandolo e trasformandolo alle necessità del racconto cinematografico, ora favolistico, ora avventuroso, ora storico, orametafisico. Non sono mancate importanti eccezioni, come Pasolini o Epstein. Questi due autori hanno colto del Vulcano i più profondi misteri e le suggestioni del mito che nei secoli esso ha rappresentato. Se si fa, poi, rientrare nella filmografia etnea, come giusto che sia, tutti quei film girati nell’area pedemontana, allora, scopriamo una costellazione di immagini che, pur non rendendo giustizia alle genti dell’Etna, ne racconta le intemperanze e le passioni come risultato naturale del vivere sotto il Vulcano. Ma in questa rapida carrellata forse è meglio procedere con ordine.
I pionieri del cinema delle origini salirono presto le pendici dell’Etna, con il treppiedi a tracolla e la macchina da presa in mano a riprendere le loro “vedute dal vero” che all’epoca andavano di moda. Il Mongibello, con il suo pennacchio e con le sue eruzioni, è un continuo spettacolo da mostrare alle affollate platee. È un’attrazione irresistibile che stupisce gli ingenui spettatori. Tra i primi cineasti a raggiungere il cratere fu Raffaello Lucarelli, fondatore dell’omonima Casa cinematografica palermitana. Dal 1909-12 l’interesse per l’Etna sembra essere al centro di numerose case di produzione nazionali. Scendono in Sicilia gli operatori della Ambrosio, della Saffi-Comerio, della Croce & C., dell’Itala Film per riprenderlo. Ma fu l’immane disastro tellurico nei paesi etnei del maggio del 1914, con il suo elevato numero di vittime, a fare concentrare nella zona i cineoperatori di mezza Italia. Ma, se “i quadri dal vero”avevano fino a quel momento dato una immagine maestosa e potente del Vulcano, il cinema di finzione mostrava invece del vulcano tra mito classsico e magìa del grande schermo l’Etna un’immagine al limite del ridicolo con le sue ricostruzioni di eruzioni fasulle create con gli “effetti speciali”, di cui disponeva la cinematografia delle origini. Nel 1910 esce in Francia la prima trasposizione di Cavalleria rusticana ma “v’era un Etna di cartone”. Il kolossal Cabiria ,realizzato da Pastrone nel 1913, ambienta il primo episodio nella Catania del IIIsecolo a.C., ma non ci è dato vedere alcun fotogramma dove la placa etnea sia riconoscibile.
Meno importanti i titoli di altri tre film muti di ambientazione etnea. Fra il fuoco e l’amore (1911), Il salto del lupo, da un soggetto di Martoglio (1913), Feudalesimo, cavallo di battaglia di Giovanni Grasso (1912) interpretato da due attori catanesi di temperamento come Attilio Rapisarda e Mariano Bottino. Nel 1916 la neofita “Sicula Film”, piccola Casa catanese, annunciava tra i suoi programmi una pellicola dal titolo I fidanzati dell’Etna, di cui però non si hanno documenti che confermino l’effettiva realizzazione. Nel 1923, un grande regista e teorico francese, Epstein, viene in Sicilia per realizzare un documentario La montagne infidèle. La visione che si presenta agli occhi del regista è talmente spettacolare che lo lascia sbalordito e scriverà un saggio sul cinema che ancora oggi resta uno degli scritti teorici più importanti del periodo del muto.
Nei racconti dei cineasti degli anni Settanta – che sull’onda della commedia di costume sono arrivati ai piedi del Vulcano a narrare questa fetta di commedia alla “siciliana”, giocata tra l’erotismo e lo stereotipo – nulla tradisce l’avvertimento di un dolore, di uno struggimento, che, spesso, non tarda ad aprirsi un varco nei rapporti umani quotidiani. Nulla resta delle intime espressioni di malinconia e di tristezza di Brancati e dei languori di Patti, che pure sono i diretti e illustri ascendenti di questo mondo. In quasi tutti quei film la pruriginosità dei temi risulta più retaggio di una cultura alimentata dal pregiudizio che una lontanaeco letteraria. Lattuada (Don Giovanni in Sicilia), Gianni Grimaldi (Un caso di coscienza, La prima notte del dottor Danieli, Le inibizioni del dottor Gaudenzi, Il fidanzamento), Saitta (Lo voglio maschio), Vicario (Paolo ilcaldo), Samperi (Malizia), Cavara (Virilità), Dallamano (Innocenza e turbamento), Malfatti (La sbandata), Lado (La cugina), Lomi (I baroni) ecc…
Questi autori hanno colto dall’ambiente la convenzione e lo stereotipo della tradizione e dalla letteratura etnea, quella brancatiana e pattiana, l’aspetto vitalistico, solare, e lieve, degradandolo, però, a pura farsa. Al riso essi non innestano la desolazione e la malinconia e al fulgore la caligine della sera e il presagio della morte; temi speculari nelle opere degli scrittori catanesi. L’altra faccia del mondo etneo che il cinema ha mostrato è quella corrusca e violenta del dramma rusticano. Il dualismo di amore e morte che contraddistingue questo “filone” nasce più dalle viscere di questa terra che dalle pagine veriste del Verga, del Capuana e del De Roberto (le diverse edizioni di Cavalleria rusticana ad opera di Palermi, Gallone e Zeffirelli, Malia di Amato,Storia di una Capinera di Zeffirelli, La lupa di Lavia ecc…). A queste opere va aggiunto un film che non ha alcuna ascendenza diretta con la letteratura, ma che può essere ascritto ai drammi a tinte forti del teatro dialettale siciliano. Si tratta de I figli dell’Etna di Salvatore Zona. Le scene in esterno sono state girate durante l’eruzione del Vulcano del 1956.Tre film meriterebbero un discorso a parte. Si tratta de La terra trema di Visconti, deIl Bell’Antonio e di Un bellissimo novembre di Bolognini: tre film pregevoli, risultato della perfetta capacità di sintesi tra natura e cultura che i loro autori vi hanno saputo trasfondere. E ancora qualche titolo come L’albergo della felicità, primo film sonoro d’ambientazione etnea, girato nel 1934 da Sampieri, Arriva la Bufera di Lucchetti, fino a Vipera di Citti, Gallo Cedrone di Verdone e Ginostra di Pradal e qualche occasione mancata come Bronte cronaca di un massacro girato in Istria o il primo episodio di Paisà di Rossellini ambientato in sceneggiatura tra la Piana di Catania e l’Etna.
Agli inizi degli anni Sessanta un’ondata di supercolossi biblici invase gli schermi nazionali. L’Etna diventa luogo privilegiato per i film più rappresentativi di questo filone. Per primo, nel 1961, arriva Robert Aldrich per girarvi alcune scene del film Sodoma e Gomorra prodotto dalla Titanus. L’anno successivo è la volta di Barabba di Fleischer prodotto da De Laurentiis. Due anni dopo arriva il grande John Huston con La Bibbia. Mediatore Hölderlin, il poeta assoluto dell’età moderna, negli anni Ottanta, un regista “estremo” come Jean M. Straub e uno teatrale di classe come Klaus Gruber, sulla scia dei grandi viaggiatori stranieri, arrivano alle pendici del Vulcano a girare due singolari versioni de La morte di Empedocle dalla potente tragedia del grande tedesco. Memori di una messa in scena teatrale alla Schaubune di Berlino il regista Klaus Gruber e l’attore Bruno Ganz filmano una versione aggiornata e reinterpretata del testo di Holderlin, prodotta da Raitre dal titolo Fermata Etna, con la nostra Gabriella Saitta.
Le donne i cavalieri, l’armi, gli amori di ariostesca memoria invadono i crinalidei monti e le vallate dell’Etna con il film di Giacomo Battiato I Paladini del 1983. La raffinatezza d’eloquio visivo dei paesaggi etnei, dei Monti Silvestri, degli splendidi scenari di rocce e acqua delle Gole dell’Alcantara, del giallo autunnale dei boschi e delle vallate, superbamente fotografati da Dante Spinotti., ricrea scenografie naturali e misteriose dai giusti echi epici. Un cinema spettacolare con un occhio all’Ariosto e l’altro alla grande tradizionedei pupi siciliani.
Se toccò a Brydone introdurre l’Etna nella letteratura europea del Settecento, nel cinema spetta a Pasolini il primato di averla descritta nella ricchezza dei suoi temi e dei suoi miti. L’Etna parla allo scrittore-regista un linguaggio subcosciente, intriso di influenze culturali e mitologiche. Per Pasolini il Vulcano diventa luogo d’elezione per manifestazioni soprannaturali e misteriche, l’unione dei contrari:morte e fecondità, neve e fuoco, paradiso e inferno. Il paesaggio etneo – lunare, orrifico ma di profonda bellezza – non poteva non stregare Pasolini che vi ambienta alcune significative sequenze di quattro dei suoi film. Egli arriva sul Vulcano per la prima volta nel 1964 per girarvi un episodio del suo antikolossal Il Vangelo secondo Matteo. Con una ampia panoramica dell’Etna, Pasolini apre Teorema e introduce il leit-motiv del deserto, delle lave, come luogo della spiritualità, anticamera della religiosità, quindi come luogo dell’inquietudine. Con Porcile Pasolini torna sull’Etna e gira una scena nella corte interna del Castello di Aci. Ma con l’incupirsi della parabola pasoliniana anche l’Etna cambia i propri connotati. Ne I racconti di Canterbury del ’72 egli utilizza il nero fumante della colata lavica di Fornazzo per ambientarvi la scena dell’inferno. La montagna, dove un tempo era possibile purificarsi e incontrare un Dio liberatore, ora diviene scenario infernale, abitato da Satana.